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Questo saggio ricostruisce la tormentata vicenda editoriale del capolavoro di Baldassar Castiglione: Il libro del Cortegiano, edito a Venezia nel 1528 dagli eredi di Aldo Manuzio, e si sofferma su come, già in quegli albori del libro a stampa, emergesse il ruolo del “correttore di bozze”, potremmo azzardare: dell’editor. 384023-013019Castiglione, divenuto nunzio apostolico in Spagna per volontà di papa Clemente VII, desiderava che la sua opera più celebre fosse finalmente pubblicata, e lo fosse a cura della bottega lasciata in Venezia dal grande stampatore Aldo Manuzio [cfr. n°7] al successore Giovan Francesco Torresani, insieme all’amore per i titoli dell’antichità greca e latina, e alla cautela nei confronti di quelli in volgare, ad eccezione di Dante Petrarca e Boccaccio. Giovan Francesco era bravo e divenne famoso, lodato anche da Erasmo che volle fargli ristampare gli Adagia.

Venezia era diventata un centro librario internazionale; i tipografi, stranieri e italici, non si contavano, e ovunque sventolavano le insegne dei librai, che affiggevano allo stipite del negozio l’elenco dei libri di cui disponevano in quel momento. Li esponevano sugli scaffali interni e anche su banchetti che sporgevano dal vano della bottega. Di norma li vendevano in fascicoli; quelli rilegati costavano il doppio. Un volume di lusso, di duecento pagine, costava sui ventisei ducati; i più economici ne costavano quattro, un prezzo comunque alto. Molto richiesti erano i libri religiosi. Lo stesso Manuzio dovette confrontarsi con questa fetta di mercato, pubblicando le Epistole di Santa Caterina da Siena, in cui utilizzò per la prima volta il carattere corsivo.

Castiglione, come costume di ogni buon umanista, aveva spedito il Cortigiano, in manoscritto, ad autorevoli destinatari che lo chiosassero e giudicassero preventivamente; tale operazione comportava tempi interminabili. Il giovane Torresani era perplesso sul pubblicare un testo scritto in un volgare “troppo contemporaneo”, una lingua ancora incerta e precaria nella forma. Dal canto suo Castiglione temeva che affidare la sua creatura al torchio a stampa significasse perderla nell’infido mare del mercato. Comunque, l’affare si fece, anche perché il nunzio sborsò parecchio denaro per avere un certo controllo sulla produzione. Si decise quindi per il costoso formato in-folio, il più prestigioso ed elegante; e si stabilì una tiratura di mille copie. Ma il Torresani impose di “ripulire” la lingua, cioè di controllare il testo prima di stamparlo affidando la cosa ad un “correttore”, una figura che -sosteneva il Torresani- esisteva da quando era nata l’editoria a stampa. Nelle stamperie dell’epoca l’unico ad essere alfabetizzato era il “compositore”, colui che prendeva i caratteri mobili e li accostava sul compositoio a formare parole, righe e pagine; poteva guadagnare quattro ducati al mese. Gli addetti al torchio (torcolieri) e gli addetti all’inchiostrazione (battitori) erano in genere analfabeti; ricevevano un decimo della paga del compositore. Inoltre ci volevano uomini mediamente colti, che preparassero i testi da editare e poi correggessero le bozze: i “correttori”, appunto, chierici e laici ai quali potevano andare sei ducati al mese, ad arrotondare le loro modeste entrate. Il più famoso di costoro era un certo Girolamo Squarzafico, piemontese di Alessandria. Ma Torresani decise di affidare il Cortigiano a Giovan Francesco Valier, già segretario del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, uomo colto amico di Pietro Bembo. E il Bembo, che nel 1525 rivendica con la sua autorità la supremazia del toscano letterario trecentesco nella poesia e nella prosa, segue il lavoro che il Valier sta facendo su lingua e grammatica del Cortigiano, un lavoro lento, basato sulla moderna filologia. Il libro fu finalmente compiuto nel febbraio 1528. Dalla Spagna Castiglione ne chiese subito centotrenta copie, di cui una preziosamente rilegata che forse intendeva donare all’imperatore Carlo V. Poco dopo il Cortigiano viene ristampato a Firenze nel più pratico formato in-ottavo, gradito alle nobildonne, ai gentiluomini e ai ricchi mercanti che passeggiavano lungo l’Arno. Editore ne fu la famiglia Giunti; il marchio del delfino e dell’áncora di Manuzio viene sostituito da un fiore stilizzato, destinato a rimanere nella storia dell’editoria fino ai nostri giorni.

Il tripudio delle stamperie di Venezia portò una vera epidemia della competizione, 183422-020119con il conseguente ricorso alla truffa e al furto e alla contraffazione. Gli editori si contendevano gli artigiani. Si pensi a Francesco Grifo, che realizzò i punzoni per i caratteri greci e per il corsivo che fecero la fortuna di Aldo Manuzio. Grifo fu portato a Firenze proprio dai Giunti che, maestri dei colpi bassi e delle regole tradite, riuscirono a pubblicare in Firenze il Cortegiano nello stesso anno dell’uscita veneziana. L’8 febbraio 1529 muore Baldassar Castiglione; il suo epitaffio è composto da Pietro Bembo, gran “bibliotecario” di Venezia, futuro cardinale. Il Cortegiano continuerà a trovare successo, a lungo. Luc’Antonio Giunti eccelse nell’imprenditorialità editoriale. Si specializzò nel libro stampato, cioè nell’abbinamento testo-immagini; fece ottimi affari con i libri religiosi (Bibbie, messali, breviari, “libri di ore”), con i saggi accademici (soprattutto per giuristi e medici), con testi latini per umanisti. Non mancava la concorrenza straniera. In quel tempo nasce la fiera di Francoforte, appuntamento annuale arrivato fino ai giorni nostri. I Giunti crearono punti di distribuzione in Francia e Spagna, una rete di agenti a contratto. Ormai il lavoro editoriale viene valutato fra parametri opposti: la gloria o il denaro, il prestigio o lo smercio.