Tags

No tags :(

Share it

§ – A Venezia, nella prima parte del Cinquecento, si stampava la metà di tutti i libri pubblicati in Europa. Alle manifestazioni librarie più importanti d’Europa, Francoforte e Lione, la presenza di stampatori e mercanti veneziani è preponderante fino ai primi del Seicento (quando prevarrà la concorrente Anversa, ma già a fine ‘500 le vie commerciali si spostano al nord). I tedeschi hanno inventato la tecnologia della stampa, ma per vendere libri sono emigrati nella colta Italia, precisamente a Venezia. È la Venezia del Cinquecento a inventare il best seller: l’Orlando furioso di Ariosto e il Canzoniere di Petrarca, per esempio. Ci sono libri nel 40% delle case borghesi e nel 23% dei palazzi nobiliari. Nel 1525 la raccolta privata dello storico Marin Sanudo conta più di 6000 volumi; quella del nobile cardinale Domenico Grimani forse arriva a 15000. Nella Serenissima molti negozi sono anche “officine”, ovvero stamperie, per cui la maggior parte dei libri in vendita sono produzione diretta del libraio-tipografo. Gli stampatori più ambiziosi cercano di accedere direttamente ai manoscritti, inseguono i migliori realizzatori di punzoni (fra i quali primeggiano gli orafi, lo stesso Gutenberg era orefice), corteggiano valenti correttori di bozze [cfr. n° 8]. Il libraio cinquecentesco vende il testo a fogli sciolti; il cliente potrà rilegarli (e magari farli miniare) a piacer suo; oppure il libraio stesso può proporre libri rilegati, a prezzi piuttosto alti. Sugli scaffali della bottega i fogli sciolti sono ovviamente impilati in orizzontale (ogni fascicolo è avvolto in una carta azzurrina); i libri rilegati sono in piedi ma in senso opposto a quello odierno, così da rendere visibile il taglio e non il dorso. Insomma, alle pareti il cliente vede un omogeneo allineamento di fogli di carta, alcuni orizzontali altri verticali. Il libraio in persona deve reperire il libro richiesto dal cliente e anche illustrargliene il contenuto. Questa massa di carta, su arredi di legno, è periodicamente preda del fuoco; ma gli incendi fortuiti sono meno devastanti dei roghi di libri “proibiti” decisi dalla Chiesa, come vedremo. Gli inventari di librerie cinquecentesche sopravvissuti ci dicono che venivano esposti da un minimo di 104 esemplari ad un massimo di 3400. Il numero delle edizioni nuove aumenta costantemente; ogni bottega cerca di avere il massimo assortimento e di offrire servizi accessori come la legatoria; ma tiene poche copie per ciascuna edizione, a conferma che la lettura rimane un fatto elitario fino al ‘700. I più venduti erano i libri di diritto, poi i religiosi. Con il tempo cresce la diffusione dei testi in volgare, mentre verso la fine del secolo si afferma il mercato dell’usato, ovviamente a motivo del minor costo.

§ – il tipografo-editore Aldo Manuzio [cfr. n°7], anche se sconosciuto al grande pubblico, è paragonabile a Raffaello, Michelangelo, Brunelleschi. È il genio che trasforma l’invenzione della stampa in una rivoluzione storica. 175411-020219Inventa il libro tascabile, introduce il carattere corsivo (che non a caso in inglese si chiama italic), getta le basi commerciali per l’avvento del best seller; da grande umanista, con l’aiuto di Pietro Bembo, crea l’utilizzo della punteggiatura nel greco, nel latino, nel volgare. È il primo ad unire le conoscenze culturali e le capacità tecniche con l’intuito commerciale. Il mitico periodo degli incunaboli, l’infanzia dei libri a stampa nella seconda metà del Quattrocento, potrebbe aprirsi con l’austera Bibbia delle 42 righe di Gutenberg nel 1455 e chiudersi con la sfolgorante Hypnerotomachia Poliphili, ovvero il Polifilo, edito nel 1499 da Manuzio con il carattere tondo (“aldino”), antesignano di tutti i tondi anticheggianti che si utilizzano tuttora. Ma Aldo, che aveva aperto la propria stamperia a Venezia nel 1495, nel 1500 affida all’orafo bolognese Francesco Grifo il compito di realizzare il carattere “corsivo”, che si ispirava alle forme manoscritte in uso nelle cancellerie italiane dell’epoca. Nel marzo 1501 il Senato veneziano concederà un privilegio al carattere corsivo riconoscendo che esso conferiva alle stampe l’eleganza e la bellezza del manoscritto umanistico. L’altra eccezionale novità attuata da Manuzio sono i libelli portatiles, le edizioni di piccolo formato, in-ottavo, a basso costo, utili agli studenti e agli studiosi nei loro viaggi, e persino ai militari in guerra. In questo modo Aldo diffonde i classici latini, da Virgilio a Catullo, e anche Petrarca, il suo primo autore in volgare. Ma c’è di più: con i tascabili Aldo diventa l’ideatore del moderno “piacere di leggere”. Nel 1502 comincia a marchiare i suoi prodotti con l’áncora e il delfino [v. l’illustrazione in n°7]. Nel 1508 pubblica gli Adagia, con lo stesso Erasmo nelle vesti di correttore di bozze. Nel gennaio 1515, poco prima di morire, Aldo chiude la sua gloriosa attività pubblicando il De rerum natura di Lucrezio.

§ – Anche se la presenza ebraica in laguna è datata secoli prima, il primo ghetto del mondo, chiamato “il serraglio de’ giudei”, viene istituito a Venezia il 29 marzo 1516 nella parrocchia di San Girolamo. Agli inizi il modello di quartiere separato per comunità di diversa nazionalità e religione non era considerato in modo negativo. Dal ghetto, dove è concesso avere luoghi di culto ma non stampare libri, fiorisce una editoria ebraica che si diffonde per l’Europa e il Mediterraneo. Un cristiano di Anversa, Daniel Bomberg, stampa testi ebraici in Venezia ed è il primo a pubblicare la Bibbia rabbinica in quattro volumi in-folio e il Talmud babilonese in dodici. Nella bottega di Bomberg -che viene definito il Manuzio dei libri ebrei- lavora, fra il 1528 e il 1549, il tedesco Elia Levita, grande curatore di testi e correttore di bozze, il quale è anche maestro di ebraico del cardinale Domenico Grimani, il patrizio proprietario del mitico Breviario Grimani, un codice di 832 fogli, tutti decorati, oggi conservato nella Biblioteca marciana di Venezia. Nel 1553 papa Giulio III emana una bolla che obbliga a consegnare e bruciare i libri ebraici; il 9 settembre dello stesso anno avviene il primo rogo del Talmud e dei libri ebraici a Roma in Campo de’ Fiori. Anche Venezia subisce l’autorità papale e ordina roghi a Rialto e a San Marco; le stamperie ebraiche chiudono. In clima di Controriforma i toni si abbasseranno, ma ogni volume pubblicato, ebraico e non, deve essere sottoposto a censura preventiva. Nel 1564 papa Pio IV permette la stampa del Talmud purché censurato e senza la parola “Talmud” sul frontespizio.

§ – La Venezia del ‘500 è dunque un centro fondamentale nella storia dell’editoria. Vi si stampa per la prima volta un Corano, un Talmud, libri in armeno e in croato. Vi si stampa la prima traduzione italiana del Corano, la seconda Bibbia in “volgare” (cioè in italiano; la prima è quella in tedesco). Venezia diventa, nel Cinquecento, un polo di stampa e di diffusione internazionale delle pubblicazioni relative alle scoperte geografiche. Tra il 1492 e il 1550 a Venezia si stampano 50 opere che parlano in qualche modo del Nuovo Mondo. Nel 1536 viene pubblicato il racconto della circumnavigazione del globo da parte del portoghese Ferdinando Magellano. 492018-021019Il veneziano Giovanni Battista Ramusio realizza in tre volumi in-folio (il primo esce nel 1550) l’imponente trattato geografico -forse il primo al mondo- Navigationi e viaggi, 65 relazioni di viaggi intrapresi da uomini d’ogni paese verso i più vari confini del mondo, dall’antichità fino a quei tempi. Nello stesso periodo Venezia conquista un altro primato: nelle pubblicazioni su armi, artiglierie, fortificazioni, questioni belliche. Da questo settore emerge un altro genio tipografico, Gabriel Giolito de’ Ferrari che si inventa la “collana”, da lui chiamata “ghirlanda”, una serie di volumi uguali nel formato che escono in sequenza; una collezione “con la quale potrete ornare le vostre stanze”, precisa il preveggente De’ Ferrari. Altri primati editoriali veneziani sono: la medicina, la gastronomia, la cosmesi, discipline che -come oggi- non mancavano di intersecarsi. Nel 1526 viene stampato in greco antico il Corpus delle opere di Ippocrate. In un suo famoso trattato sulla cosmesi, nel 1525 Eustachio Celebrino ci informa che la cipria altro non è che la «polvere di Cipro» (l’isola rimarrà veneziana fino al 1571) e che l’«acqua de bionda» è una miscela con cui le dame veneziane possono dare ai capelli una tinta biondo-rossiccia, anche chiamata “biondo Tiziano”. Prosperano i libri sulla cucina, sul servizio a tavola, sull’organizzazione dei banchetti, che si inseriscono in una letteratura sui valori dominanti della società di corte. Apice di tale editoria è Il libro del Cortegiano di Baldassar Castiglione [cfr. n°8], libro-culto dell’aristocrazia europea, forse il libro più letto nella sua epoca, tradotto in sei lingue e stampato in venti città europee. E cortigiano di razza, gentiluomo per nascita, è lo “scalco”, una figura che assomma lo chef e il maitre, il soprintendente delle cucine principesche e nobiliari. Lo scalco Domenico Romoli pubblica a Venezia nel 1560 La singolare dottrina in cui descrive pietanze, allestimenti di banchetti, e persino proprietà salutari degli alimenti. Nel 1565 il tipografo Rampazetto pubblica un libro in cui, per la prima volta, si descrive l’albero del cacao e le istruzioni per preparare la cioccolata, un secolo prima che questa bevanda divenga popolare. A Venezia, ne 1525, arriva il trentacinquenne Pietro Aretino, geniale pornografo in fuga dall’Inquisizione romana. In laguna può finalmente pubblicare i Sonetti lussuriosi, con incisioni oscene ispirate agli altrettanto espliciti disegni di Giulio Romano, allievo prediletto di Raffaello; è il primo libro pornografico nella storia dell’editoria. Da quel momento l’Aretino continuerà ad aumentare i guadagni dalla pubblicazione dei suoi testi.

§ – Il trionfo dell’industria libraria veneziana fra ‘400 e ‘500 si basò sulla disponibilità di capitali, sulla realizzazione di linee commerciali e su una straordinaria libertà di opinione. Nella seconda metà del ‘500 tutto ciò comincia ad appannarsi. L’abbondanza d’acqua, intesa come energia idraulica, produce nell’entroterra il fenomeno delle “ville”, vere aziende agricole sviluppate intorno a edifici residenziali che Andrea Palladio trasforma in capolavori architettonici. Palladio collabora nel 1556 alla prima edizione, in Venezia, del De architettura di Vitruvio. Tuttavia, il patriziato dirotta le proprie risorse fuori dalle tipografie. A partire dal 1547 l’Inquisizione romana si introduce a Venezia. L’anno dopo vengono effettuati due grandi roghi di libri protestanti. Nel 1549 monsignor Giovanni Della Casa (proprio quello del Galateo) compila un elenco di libri proibiti che anticipa l’Index vaticano del 1554. Nel 1553 sono messe al rogo copie del Talmud. Nel 1558 vengono condannati oltre 600 autori, specificamente proibite 400 opere, fra cui tutte le Bibbie in volgare; sono vietati Erasmo, Machiavelli, Aretino, Rabelais. Il 18 marzo 1559 si bruciano fra i 10.000 e i 12.000 libri per ordine del nuovo Grande Inquisitore, il cardinale Michele Ghisleri, il quale vuole perseguire altresì i librai disobbedienti. Nel 1562 Venezia adotta la censura: ogni libro va esaminato da un religioso e due laici; il permesso di pubblicare viene dato dopo mesi e a fronte di pagamento; due copie devono essere depositate per essere confrontate con l’edizione a stampa. Per l’editoria veneziana è un colpo mortale. Una reazione sarà possibile attraverso la produzione di testi religiosi e, sul finire del secolo, attraverso l’affermarsi dei periodici di informazione, le “gazzette”.