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Originale e interessante saggio, stampato su carta certificata FSC, che unisce fibre riciclate post-consumo a fibre vergini provenienti da buona gestione forestale e da fonti controllate; sfogliarlo è un piacere che incita alla lettura.

“Per primo venne il linguaggio parlato, poi il disegno, poi i pittogrammi, poi gli alfabeti, poi la scrittura e poi la carta” (pg 9). L’apoteosi della carta è stata raggiunta con l’invenzione della stampa a caratteri mobili. Gli studiosi attribuiscono ai cinesi l’invenzione della produzione della carta, che tuttavia è entrata nell’uso in periodi diversi, quando una società sviluppava la necessità di avere un materiale da scrittura a buon mercato, rispetto alla pergamena ricavata da pelli animali. Gli europei ci arrivarono dopo. Gli arabi avevano tentato per anni di vendere l’invenzione dei cinesi, ma ci riuscirono quando diffusero l’alfabetizzazione, la matematica, le scienze. La tecnologia, la rivoluzione del “supporto”, oggi ci sembra la causa del cambiamento, ma non fu la stampa a generare le idee della Riforma protestante; fu la volontà di diffonderle ad azionare le tipografie. La civiltà della carta inizia in Asia nel 250 a.C. e si diffonde nel mondo arabo. La cultura araba fu dominante per secoli. Gli europei cristiani erano arretrati rispetto ai musulmani e agli ebrei. Fecero un balzo in avanti quando usarono la stampa a caratteri mobili. Ci riuscirono perché possedevano, a differenza degli asiatici e degli arabi, un alfabeto funzionale a quel tipo di stampa, e perché seppero sviluppare l’invenzione primigenia: la parola scritta.

102213-022419Gli esseri umani esistono da qualche milione di anni, ma hanno incominciato a scrivere solo cinquemila anni fa. I primi a sviluppare la scrittura furono i sumeri, nell’odierno Iraq, intorno al 3300 a.C., e la usarono soprattutto per scopi commerciali collegandola al far di conto. La loro scrittura (“cuneiforme”) si basava su pittogrammi e simboli che a poco a poco si trasformarono in lettere che rappresentavano fonemi, a differenza dei caratteri cinesi che rappresentano idee e non suoni. Il supporto degli scribi sumeri erano tavolette di argilla, un materiale di scrittura sopravvissuto per migliaia di anni. Le tavolette di cera furono le più utili per i calcoli e gli appunti temporanei, facilmente cancellabili. Spesso due tavolette, con i bordi rialzati, venivano legate insieme a formare un “libro” chiamato dittico, molto usato dagli ebrei. Il dittico dei Comandamenti, portato da Mosè, era di pietra così che nessuno avrebbe potuto modificarlo. Potevano anche essere collegate più tavolette, e il risultato era definito dai latini codex, vero antesignano del libro, il cui nome si applicò anche ai manoscritti realizzati legando fra loro fogli di papiro, poi di pergamena e infine di carta. Ma l’uso del codex rimase limitato fino a che fu predominante il papiro, il più adatto a realizzare rotoli.

La canna di papiro cresceva sulle rive del Nilo, ad alto stelo, con una ventina di strati sbucciabili come una cipolla. Gli egizi produssero rotoli di papiro dal 3000 a.C. e li esportarono in tutto il mondo conosciuto. Il reperto di papiro più antico mai ritrovato (i celebri “Rotoli del mar Morto”) risale ad un periodo compreso fra il 2900 e il 2775 a.C. Gli egizi scrivevano sia da sinistra che da destra. Il loro alfabeto mescolava fonogrammi, caratteri che rappresentano suoni, e logogrammi, caratteri che rappresentano oggetti o idee.

Nel III secolo a.C. Tolomeo, divenuto faraone, realizzò la più grande biblioteca del mondo ad Alessandria d’Egitto, nei pressi di un centro di produzione di papiro. Come voluto dal suo fondatore la biblioteca prese a raccogliere in qualunque modo e luogo libri di qualunque contenuto, tanto che dopo tre secoli Alessandria conteneva settecentomila rotoli.  Si narra che anche Eumene, governatore di Pergamo, volesse edificare una grande biblioteca, e che Tolomeo, geloso, si rifiutasse di vendergli il papiro. Eumene imparò ad usare la pelle degli animali per trarne un materiale di scrittura alternativo e ne ottenne la pergamena, destinata ad essere considerata per secoli un supporto nobile per la scrittura, rivale del rotolo perché adatta al codex, che a sua volta si affermò perché più facilmente trasportabile e capace di contenere testi di qualunque lunghezza, più agevolmente consultabile con le sue pagine l’una di seguito all’altra.

I romani iniziarono ad usare i manoscritti su pergamena a partire dal I secolo a.C., ma erano stati i greci del V secolo a rivoluzionare la tradizione scritta occidentale: codificarono la scrittura da sinistra a destra (l’ebraico era scritto da destra a sinistra), introdussero le vocali (il greco divenne quindi una lingua pronunciabile esattamente come è scritta), standardizzarono l’alfabeto (dalle prime due lettere: “alpha” e “beta”). Probabilmente nell’VIII secolo a.C. esistevano già trascrizioni di Iliade e di Odissea. Non sappiamo nulla di Omero, tranne che nel dialetto di Lesbo il suo nome significava “cieco”. Certo, i grandi filosofi e matematici del V secolo esponevano le loro teorie in forma scritta, verso la quale tuttavia Platone era perplesso; egli pensava che con tale forma la conoscenza si disperdesse in troppe mani improprie (povero Platone, se dovesse rivivere al tempo della rete!); e la “quaestio” rimase rilevante, se in pieno Medioevo Tommaso d’Aquino osservava che Cristo non aveva mai usato la parola scritta. Ma la scrittura era un processo irreversibile, cui l’antichità classica fornì supporti diversi: le tavolette con la povera ma solida argilla oppure con la duttile cera; la fragile ma affascinante pellicola di papiro; la costosa ma duratura pergamena.

I più antichi reperti di scrittura cinese si datano al 1300 a.C., anche se la sua invenzione potrebbe risalire ad un millennio prima. La maggiore attività cinese fu la produzione di documenti burocratici, conservati in enormi archivi. Lo strumento principale fu il pennello, oggetto di un vero culto. Si diffusero i libri ricavati dalla corteccia di bambù, realizzati in varie dimensioni; ma venne usata anche la seta, sebbene soprattutto dall’aristocrazia; la pittura su seta non è passata mai di moda. L’eccellenza cinese nella scrittura è comunque l’invenzione della carta attraverso la lavorazione delle fibre della cellulosa, una lavorazione che comportò l’introduzione di una tecnologia manuale sopravvissuta fino ai tempi moderni. L’inizio di questa storia può essere collocato nel II secolo a.C., anche se la tradizione cinese vuole che la carta sia stata creata nel 105 d.C. da un cortigiano eunuco chiamato Cai Lun. La genialità cinese si rivelò anche nell’invenzione di accessori, come la carta igienica e i bicchieri di carta, o come le figure fabbricate in carta che, bruciate sulle pire, divennero parte integrante del culto dei morti. I rotoli di carta vennero utilizzati per secoli, con la particolarità di essere avvolti su un rullo di legno, a differenza dei rotoli di papiro che erano liberi. Dalla Cina la carta si diffuse nell’Asia orientale e poi in India, soprattutto per i testi religiosi. In Giappone la calligrafia, di origine cinese, assunse una notevole rilevanza sociale. La carta prodotta in Giappone dalla corteccia del gelso si caratterizzò per la sua robustezza, e quindi venne usata per costruire la tradizionale casa giapponese. I giapponesi fecero gli ombrelli di carta, i sacchi di carta per stoccare il grano, i teloni di carta per proteggere i carri.

L’estensione del potere del popolo arabo (cioè originario della penisola araba) cominciò nel VII secolo d.C. con la fondazione dell’islam da parte del profeta Maometto, al quale Dio aveva rivelato i suoi comandamenti. Egli, che non sapeva né leggere né scrivere, dettò il Corano, il libro sacro, agli scribi, i quali divennero una sorta di casta sacerdotale. La diffusione dell’islam comportò la diffusione del libro sacro. Ogni copia doveva essere curata in modo particolare; nemmeno una sillaba della parola di Dio poteva essere alterata; la stessa scrittura doveva essere “bella”, e ne nacque la calligrafia araba, caratterizzata da vari tipi di corsivo. Inizialmente gli arabi usarono il papiro e quindi la forma rotolo; poi si indirizzarono sulla forma codex, e usarono la più robusta pergamena. La pergamena rimase a lungo il supporto per le copie del Corano, ma la crescita dell’impero arabo provocò la produzione di molti documenti burocratici, per i quali gli scribi optarono per la carta. Conoscevano da tempo la “carta di Samarcanda”, ottenuta con la lavorazione degli stracci; approfondirono la conoscenza della ruota idraulica perfezionata dai romani, e ingaggiarono operai cinesi per fondare la grande cartiera di Baghdad. Questa città era situata su un fiume e poteva contare su una fornitura di stracci sufficiente: divenne il primo centro “cartario” del mondo musulmano. Poi fiorì Damasco, in Siria, che esportò un prodotto di alta qualità anche in Europa, dove era chiamato “charta damascena”. Alla fine del IX secolo d.C. gli arabi iniziarono a produrre carta al Cairo, lavorando il lino coltivato estensivamente dagli egiziani. La diffusione della carta nel mondo musulmano è ormai compiuta, anche se il papiro verrà residualmente usato fino al XIII secolo. Allo scoccare del Mille gli scribi musulmani avevano già cominciato a trascrivere su carta anche il Corano; dato che l’islam proibisce la rappresentazione delle figure umane e animali, per gli arabi la scrittura divenne una vera arte visiva. Come per le altre civiltà, i patrimoni librari arabi subirono devastazioni e incendi.

Il primo centro conosciuto di produzione della carta in Italia è Fabriano, nelle Marche, i cui abitanti sembra abbiano imparato il mestiere dagli arabi nell’XI secolo. I fabrianesi furono i primi europei a dare al fascio nel quale raggruppavano i fogli il nome di risma, che deriva dall’arabo razmah; il termine si usa tutt’oggi per un pacco di cinquecento fogli A4. Per gli europei la carta divenne subito un supporto di gran lunga più economico della pergamena (gli storici della carta stimano che per realizzare una Bibbia occorresse uccidere più di 200 pecore). Con la loro ricchezza di mulini ad acqua e con la loro capacità di costruire ingegnose macchine idrauliche, i fabrianesi produssero la carta più a buon mercato. Un loro merito particolare fu l’invenzione della filigrana, un disegno che si può vedere tenendo il foglio controluce e che divenne la “firma” del singolo cartaio. Anche se la pergamena continuò ad essere usata sia per il latino che per il volgare, nel Duecento la carta era il supporto più richiesto, nel diritto, nella contabilità, nella musica, nella cartografia. Commercialmente si diffusero i contratti redatti su carta. Fra l’XI e il XII secolo, e comunque prima della stampa, correvano linee parallele: la memorizzazione dei testi continuò ad essere considerata di grande valore; la pratica della lettura a voce alta perdurava non solo nei monasteri ma anche in varie occasioni conviviali; i monaci, soprattutto i benedettini, dedicavano quotidianamente almeno due ore alla lettura di tomi pesanti e ingombranti; perciò si diffusero edizioni di formato più agile, con cui gli stessi amanuensi diedero impulso ad uno stile di scrittura più semplice e rapido, quindi adatto ad aumentare la produzione di libri. Nel XIV secolo la produzione cartaria era ormai un’attività industriale diffusa in tutta Europa; ovunque ci fossero corsi d’acqua in forte pendenza e una popolazione in grado di produrre molti stracci, cresceva una cartiera. Perdurava l’opinione che libri e documenti di valore dovessero essere scritti su pergamena, ma la carta cominciava a dimostrare di essere un materiale forte, capace di resistere ai secoli.

Nel XV secolo l’Europa ha ormai bisogno di riprodurre libri e documenti in modo rapido. Le vendite di libri erano diventate un importante commercio internazionale. Gli asiatici erano da tempo arrivati alla stampa. Il libro stampato più antico finora ritrovato è il “Sutra del diamante”, una preghiera buddista cinese stampata nell’868: sei pagine caratterizzate da una elaborata xilografia, con una tecnica che gli europei raggiungeranno solo nel ‘400. Ma i cinesi e gli arabi amavano molto i loro stili corsivi manoscritti, aggraziati e sinuosi, inadatti ad essere stampati. Furono i coreani ad applicare la stampa a caratteri mobili, a metà ‘400, quando anche gli europei cominciarono a produrre, autonomamente, libri xilografici. Ma il libro divenne “popolare” in Europa solo quando fu stampato con i caratteri mobili. Questo cambiamento epocale è accreditato all’opera di Johannes Gensfleische Gutenberg, nato a Magonza, in Germania, probabilmente fra il 1394 e il 1399, artigiano orafo. Trasferitosi a Strasburgo, Gutenberg cominciò intorno al 1440 a lavorare con i caratteri mobili, di cui non fu l’inventore originale ma il geniale elaboratore. Nell’incredulità generale Gutenberg riuscì a stampare libri esteticamente all’altezza dei migliori manoscritti degli amanuensi. L’esempio più famoso è la Bibbia da lui prodotta fra il 1452 e il 1456: milleduecento pagine stampate su due colonne, ciascuna lunga quarantadue linee. La fortuna di Gutenberg fu immediata, nell’intera Europa. I copisti si sentirono minacciati dai tipografi, ma il mercato dei manoscritti continuò, divenendo più selettiva e preziosa, mantenendo l’uso della pergamena, mentre la carta si dimostrò subito più adatta alla stampa. Gutenberg diede definitivamente dignità alla carta, che non fu più considerata materiale povero bensì qualitativo e soprattutto duraturo. Alla fine del ‘400 l’Europa, che entrava nell’aurea stagione dei suoi tipografi-editori, presentava i massimi pensatori del tempo e stampava (e diffondeva come non mai) le loro idee su carta.