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L’UNESCO ha definito il libro come pubblicazione a stampa di almeno 50 pagine. Nell’antichità la forma è il rotolo, in papiro, testo disposto a colonne. Il papiro si usa ovunque fino al III sec. dC, con la scrittura da sx a dx per il latino e il greco, da dx a sx per l’ebraico. Il rotolo si chiama volumen. Ancora oggi la Torah è scritta su rotolo.  Nel 170 aC si introduce la pergamena (da Pergamo, in risposta al blocco dell’esportazione di papiro). I manoscritti su pergamena cominciano a prendere l’aspetto di codex (p.es. 22,50×14,00 – 30,00×19,40 – 43,90×31,20): fascicoli cuciti insieme. I Libri d’Ore del ‘400 possono essere 13,10×8,90 e hanno grande successo nel XIV e XV sec. La disposizione della scrittura può essere a giustezza piena, oppure a colonne (le Bibbie sono sempre a 2 colonne, raramente a 4). La Bibbia di Gutenberg è a 42 linee in 2 colonne. Tutto è riccamente miniato e decorato. A metà del ‘400 c’è l’avvento della stampa a caratteri mobili, e quindi della produzione in serie, con grande diffusione. Ma fino ai primi del ‘500 i libri manoscritti e quelli stampati non si considerano fenomeni separati. Dai Libri d’Ore nel 1501 Aldo Manuzio ricava l’idea del piccolo formato (in-ottavo) che continuerà ad avere successo.un oggetto chiamato libro

La prima opera a stampa di grande risonanza è l’Hypnerotomachia Poliphili, attribuita a Francesco Colonna, stampata da Manuzio nel 1499, con sontuosa iconografia. Qui appare l’àncora con intorno il delfino che, su suggerimento di Pietro Bembo, diventa il marchio di Manuzio. Fra il 1751 e il 1772 si pubblica l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, il capolavoro divulgativo dell’Illuminismo, con le sue celebri planches. All’inizio dell’800 verranno alla ribalta i grandi innovatori della tipografia che daranno nuove connotazioni al libro. Ma il cammino era cominciato molto prima. Petrarca, grande bibliofilo, considerava la minuscola carolingia l’ideale grafico per il campo librario. Nel ‘400 a Firenze Poggio Bracciolini inventa la Littera Antiqua, la minuscola umanistica corsiva che diventa il modello europeo (esclusa la Germania dove resiste la gotica). Negli ultimi decenni del ‘400 si fonda quindi l’Ars artificialiter scribendi che si basa su una elaborazione della scrittura manoscritta. Gli stampatori affidano a grandi incisori la creazione di nuovi caratteri, come Manuzio a Griffo, come Estienne a Garamond (primi ‘500) il massimo disegnatore di caratteri del Rinascimento. La tradizione umanistica si estingue con l’apparire di una nuova teoria della tipografia, non più vista come versione della calligrafia ma come autonoma creazione razionale. Siamo al ‘700 dove si affermano i caratteri della famiglia Didot, che definirà la tipologia del carattere neoclassico. I Didot lavorano ad una produzione editoriale eterogenea, anche popolare. Giambattista Bodoni (1740-1813) pubblica nel 1788 il suo Manuale di caratteri, da cui la fama bodoniana si diffonderà in tutta Europa. I caratteri continueranno a svolgere un ruolo importante. Nel 1931, si inventa il Times New Roman per stampare il famoso giornale inglese. In Italia è un grande disegnatore Aldo Novarese (1920-1995); si afferma l’editore-stampatore Alberto Tallone (1898-1968) per prodotti di alta qualità, il quale crea un carattere. L’Enciclopedia italiana, fondata da Giovanni Treccani e da Giovanni Gentile venne pubblicata in 36 volumi nel 1929/37.

La marca è l’emblema dello stampatore/editore. La prima marca editoriale appare a Magonza nel 1457 ad opera di Johann Fust, già finanziatore di Gutenberg; con il genero Peter Schöffer porta a termine la Bibbia a 42 linee e l’anno dopo pubblica il Psalterium Magontinum in cui, oltre la marca, appare per la prima volta il colophon. Le marche editoriali sono un capitolo importante della storia del libro. Celeberrima quella di Aldo Manuzio con il delfino e l’àncora. Lo struzzo apparve nel ‘500 e arrivò nel ‘900 a rappresentare la casa di Giulio Einaudi. L’editrice Adelphi ha adottato un ideogramma cinese. Un’altra tendenza del ‘900 è stata di lavorare graficamente sulle iniziali degli editori o sugli acronimi (v. la BUR di Rizzoli).

Il marchio dello stampatore ha probabilmente ispirato l’apparizione dell’ex libris, che è invece l’emblema del possessore della singola copia sulla quale viene incollato. Il più antico ex libris con data certa risale al 1516, inciso da Albrech Dürer e appartenente ad un giudice di Norimberga, Hieronymus Ebner. Il committente chiedeva e l’artista ne ricavava un’immagine. Nei secoli gli ex libris hanno conservato un certo fascino. Nel ‘900 hanno trovato un nuovo impulso nella xilografia.

Il frontespizio viene introdotto alla fine del ‘400, e raccoglie quanto si era collocato nel colophon. Nel ‘500 si arricchisce ma è nel ‘700 che i grandi tipografi rivoluzionano la progettazione della pagina. Bodoni imprime una impostazione aulica. Nell’800 un impulso deriva, in Italia, dalla nascita delle case editrici: Vallardi, Sonzogno, Fratelli Treves. Nel 1901 nasce la Laterza a Bari, dove nel 1906 Benedetto Croce avvia prestigiose collane. Il primo ‘900 è influenzato anche graficamente dalle avanguardie storiche. Ai giorni nostri il frontespizio, e i suoi annessi, rimane il riferimento dell’attività catalogativa, ma l’attenzione degli editori è incentrata sulla copertina.

La copertina può essere rigida o in brossura, e può avere una sovraccoperta; le parole si trasformano in lettering cioè in immagine della scrittura, compaiono decorazioni e soprattutto illustrazioni; acquistano un ruolo i risvolti (per anni Italo Calvino scrisse risvolti per Einaudi).

Viene definito “paratesto” (copertina, risvolti, introduzione, etc) tutto quanto offre al lettore del libro una preventiva comprensione dei contenuti che lo attendono. Anche il dorso è importante, in rapporto alla probabile sistemazione verticale del libro in scaffalature o simili; tuttavia in genere le scritte sul dorso sono discendenti per favorire la lettura quando il libro è in orizzontale. Nell’ultima di copertina ci possono essere altri testi promozionali, insieme al codice a barre e lo ISBN (International Standard Book Number) creato nel 1975 ai fini della catalogazione e della lettura elettronica in magazzino. Ci possono poi essere una fascetta esterna e un segnalibro forniti dall’editore; il citato frontespizio, una eventuale “antiporta” (una illustrazione prima del frontespizio, quasi sempre un’incisione), prefazioni all’inizio e appendici al termine, pagine in cui l’editore pubblicizza suoi prodotti, e infine (o all’inizio) gli indici (o il sommario). Importanti le “note”, denominazione apparsa in Francia nel 1636 a sostituire l’antico “glossa”, ma la pratica era diffusa dal Medioevo; nel ‘700 prevarrà l’uso di collocare le note a piè di pagina. Inoltre, la bibliografia, “essenziale” o “ragionata”. Buon ultimo il “finito di stampare”, memoria dell’antico colophon.

Tutto ciò che riguarda l’esterno della produzione editoriale, legato alle necessità commerciali e di marketing, viene definito da alcuni “epitesto”.

Le norme e le convenzioni editoriali costituiscono un intervento rilevante per addivenire al risultato dell’oggetto-libro; in primo luogo, il lavoro dell’editor (editing) o di uno specialista (nell’argomento scientifico o nel genere letterario); di seguito le indicazioni di composizione e uniformazione secondo le norme convenzionali stabilite in redazione. Da pagina 178 a 183 c’è un dettagliato elenco sulla punteggiatura come sistema di segni.

La confezione può essere rilevante nella presentazione del libro: packaging, cofanetto, volumi inscatolati, blister in plastica, cellofanatura, etc. Ma storicamente la vera “confezione” del libro è la rilegatura, che dal XVI secolo è stata realizzata soprattutto in cuoio. Da allora, e fino al ‘700, l’Italia ha contribuito molto alle tecniche di legatura. Agli inizi del ‘900 la brossura si rivelerà la legatura di massima diffusione. Ai tempi di Bodoni le brochures erano copertine sobrie, di cartoncino, per racchiudere i fascicoli legati. Erano considerate provvisorie, in attesa di personalizzazioni operate dall’acquirente; ma l’industria editoriale ne farà sempre i più delle sovraccoperte illustrate. Una pluricollana “povera” come gli Oscar Mondadori diventerà un brand autonomo dall’editore.

La carta è assolutamente la protagonista del libro moderno. Fino a questo momento la recente “invasione” del digitale sembra viaggiare parallelamente, quindi non travolgere la storia del libro cartaceo. Nel XX secolo si sono inventate varie tipologie di carta: di diversa grammatura, lucide e opache, vergate e patinate, ma la virtù della carta si prova nella principale delle verifiche: il rapporto con il tatto, e il tatto del lettore è speciale. L’origine della carta è cinese e derivò dalla lavorazione degli stracci. Si dice che il primo libro cartaceo sia cinese e risalga all’anno 868. Tuttavia, già durante l’VIII secolo gli arabi avevano catturato fabbricanti di carta cinesi e si erano impossessati delle loro tecniche, producendo fogli di cm 52×70, un formato che in occidente si raggiunse solo nel XVI secolo. Gli arabi conquistarono la Spagna, dove si presume che abbiano trapiantato alcune cartiere a partire dal 1151. Ugualmente accadde in Sicilia nello stesso periodo, per arrivare nel 1276 alla prima cartiera di Fabriano, poi Bologna, Padova, la Toscana, il Piemonte, il Veneto. Sembra che i cartai italiani furono i primi, dal XIII secolo, a contrassegnare il loro prodotto filigrane. Va sottolineato però che in Europa, agli inizi del XV secolo, era ancora la pergamena a costituire il supporto più soddisfacente per la scrittura. La fortuna della carta sarà agevolata dal progressivo sviluppo dell’arte tipografica. Alla fine del ‘700 la fabbricazione meccanica della carta ne consacrerà la diffusione.